Politica
L’Umbria ha un assessore alla “pace”: omaggio al pacifismo o demagogia?
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La recente nomina di Fabio Barcaioli come assessore alla pace e alla cooperazione della Regione Umbria, voluta dalla presidente Stefania Proietti, ha sollevato interrogativi sia sul valore simbolico che sull’efficacia di una tale delega. Barcaioli, segretario regionale di Alleanza Verdi e Sinistra, avrà anche la responsabilità di welfare e istruzione, due ambiti fondamentali per il benessere regionale. La sua designazione e la scelta di questa atipica delega nasce dalla constatazione di vivere in un mondo segnato dalle guerre, come sottolineato dallo stesso assessore, con specifico riferimento ai conflitti come quello in Ucraina e in Palestina, che minacciano la sicurezza globale.
Il tema della pace in Umbria ha indubbiamente una forte radice storica. La regione ospita da decenni la Marcia Perugia-Assisi, l’evento simbolo per eccellenza della lotta per la pace e contro il militarismo, sulla scia del messaggio pacifista di Aldo Capitini, che promosse l’idea di un mondo smilitarizzato. Barcaioli, richiamando questa tradizione, ha evidenziato l’importanza di riprendere quel percorso, ponendo la pace e la cooperazione internazionale come priorità politiche.
Nonostante il richiamo a questa forte tradizione, la nomina non manca di suscitare qualche perplessità. Se da un lato la Regione ha effettivamente una lunga storia di impegno pacifista, la delega è stata da molti criticata come un’operazione demagogica, un atto simbolico che non potrà però incidere sulle politiche regionali. Non c’è ovviamente nulla di male nell’adottare una linea pacifista, però questa la scelta rischia di rivelarsi una semplice mossa di marketing, senza potersi davvero trasformare in un impegno concreto per la pace.
In definitiva, la nomina di Barcaioli si inserisce in una tradizione di pacifismo che ha caratterizzato l’Umbria da decenni, ma rischia anche di rimanere un atto puramente simbolico e fine a sé stesso, circostanza che sta ingenerando non poche critiche e ironie nei confronti di un modo di fare politica che spesso opta per azioni di facciata e preferisce apparire che essere.
